Eucarestia:l'offerta
Se noi ci accogliamo, ci perdoniamo e dialoghiamo è per donarci l’un l’altro. E siamo all’offertorio. Pensiamo a cosa succede durante l’offertorio. “Benedetto sei tu Signore, Dio dell’universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo”. La terra non fa il pane, non esiste l’albero dei panini, e neanche l’albero delle bottiglie.
Esistono la vite ed il grano, il pane ed il vino sono frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Ciò che la natura ci ha dato, e che noi abbiamo lavorato. Noi possiamo veramente offrire, non solo ciò che la natura ci ha dato. Non basta che portiamo il grano all’Eucaristia, dobbiamo portare il pane. Il grano impastato da noi. Non basta dire: “Io sono qui, mi dono a te”. Io devo anche lavorarmi per offrirmi a te. Offro a te il grano della mia natura che sono, ma con tutto il processo di fatica, di laboriosità, di costruzione del carattere, di ascesi, di sforzo, di impegno, che io ci metto perché questo grano diventi mangiabile.
Perché questo è divino, perché se voglio essere simile a Dio devo essere mangiabile, perché Dio si dà da mangiare, è la cosa più mangiabile che c’è. E’ l’albero della vita che sta al centro del giardino, è il frutto che si dà a mangiare - c’è anche nell’Apocalisse. Quell’albero mi sembra sempre più un’immagine di Dio. L’albero non ha senso senza frutti, un albero sterile si taglia. Dio è un albero che dà frutti dodici mesi all’anno e le cui foglie guariscono le nazioni. E se noi vogliamo essere simili a Dio dobbiamo diventare mangiabili e questo non può accadere senza sforzo. Quando noi portiamo all’altare il pane ed il vino noi portiamo quello che Dio ci ha dato e quello che noi abbiamo lavorato su di esso. Il frutto della nostra fatica e del nostro impegno. Anche nel dono familiare, perché la vita familiare è dono e offerta, cosa portiamo?
Quello che Dio ci ha dato e quello che noi investiamo per diventare gradevoli, capaci di sopportare, di dialogare, di perdonare, di accogliere, di un sorriso, di non chiudere la porta della camera e non farsi più sentire per giorni. Il dono di sé è la cosa più costosa che c’è sulla terra. Se tu vuoi donarti devi dare te stesso, non soldi. Se ti doni vuol dire che una parte di te non ti appartiene più. Quando ti sei donato hai detto: “Io non voglio più vivere solo per me stesso, ma per l’altro, per l’altra”. Hai detto all’altro io sono il campo e tu sei il seme, se tu cadi su questo campo tu puoi usare il terreno, i sali minerali ecc. per sviluppare te stesso. Questo vuol dire essersi donati nell’amore coniugale: essere il campo che offre all’altro la possibilità di crescere. Se io sono luce, tu sei il fiore, la mia luce ti illumina e fa risaltare la tua bellezza, il mio calore fa circolare in te la vita, fa circolare in te l’ossigeno, la linfa, perché tu viva. Amare significa far vivere qualcun altro, esattamente l’opposto dell’essere una pompa aspirante che tira a sé l’amore degli altri e non lo sa mai ridonare.
E l’amore in famiglia è reciproco, io faccio questo per te, tu fai quest’altro per me. Educare significa insegnare ai bambini, ai ragazzi, a fare questo, man mano che crescono. Non cresceranno più felici se darete loro più cose, ma se voi, avendo vissuto questo, sarete capaci di trasmettere questo. Altrimenti, anche se diventeranno presidenti degli Stati Uniti saranno dei poveri infelici, perché solo questo fa la felicità del cuore dell’uomo. Lo sappiamo, ma ci fa più comodo pensare che i soldi rendono felici, perché i soldi non mi costano. Non sono me, il dono di me stesso. Allora il fatto di offrirsi, di donarsi è importante. Cristo si è donato, Dio si è donato fino alla morte di croce. Non ha tenuto niente per sé. Tutto quello che noi teniamo per noi, nell’amore, è peccato, perché non viene dalla fede.

Se noi veramente offriamo il nostro amore agli altri e a Dio, allora Dio lo accoglie, lo fa suo. Qui è il bello, Dio consacra il nostro dono. Cosa succede a messa? Dio accoglie questo pane e questo vino che noi abbiamo lavorato con un po’ d’acqua e qualche strumento, con la fatica delle nostre mani, lo accoglie e con il dono del suo Spirito fa in modo che quel pane e quel vino non siano più solo il frutto della vite e del nostro lavoro, ma presenza sua. Se noi ci doniamo autenticamente agli altri, Dio accoglie questo nostro sforzo e fa sì che il nostro amore non sia solo il nostro amore ma la sua presenza. E’ questo che manca sulla terra, la nostra disponibilità a dire a Dio: “Brilla in me, sii presente in me”.
Il sacramento del matrimonio è quella cosa per cui il tuo amore non è più il tuo amore, ma la presenza di Dio sulla terra. Per cui gli altri vedendoti dovrebbero dire: “Guarda come si amano”. In altre parole: “Si vede che hanno una marcia in più”, “Si vede che hanno qualcosa in più, una capacità in più, che c’è della linfa”. E cosa è questa linfa? Il fatto che Dio li ha consacrati, per cui quell’amore non parla più solo di te e di lei e di quanto siete bravi o cattivi, delle vostre lune.

Ma parla dell’amore di Dio, di un amore divino che ha creato l’uomo capace di vivere divinamente, cioè nell’amore. E’ la forma più semplice di evangelizzazione. Visto che questa mattina sono ottimista, dico questo: anche se arrivassero gli integralisti musulmani, anche se distruggessero tutte le chiese, anche se uccidessero tutti i preti, anche se bruciassero tutte le Bibbie e non restasse più niente, fino a che ci sarà sulla terra una coppia in grado di amarsi divinamente, Dio sarebbe presente sulla terra! I nemici terreni della Chiesa, che sono stupidi, cercano di uccidere i preti e di chiudere la bocca ai teologi, ma non serve a niente.
Il diavolo, che è furbo, non va a colpire i teologi, va a colpire le famiglie. Perché chiuso il rubinetto dell’amore familiare, è chiuso il flusso dell’amore di Dio nel mondo, persa l’immagine di Dio nell’uomo e nella donna, perso l’amore nella natura, il senso del mondo. E lui diventerebbe davvero il principe di questo mondo, è questo il suo disegno; smascheriamolo e facciamo vedere che non è così. Che ogni famiglia è un luogo di unità e di amore. Che saremo sì poveri e difettosi, ma capaci di portare Dio. Che saremo un brutto candelabro o povera cera, ma Dio può brillare su questa cera, perché questa è la sua gloria.
Che avremo pure un amore sofferto, faticoso, dannato, prostituito, crocifiggente e scarnificante, ma divino nella sua natura perché Dio lo consacra nel giorno del matrimonio con il sigillo dello Spirito Santo. Non lo dico io, lo dice la Chiesa, lo grida il Papa da 25 anni. Questo è l’amore di cui ha bisogno il mondo e questo è l’amore di cui abbiamo bisogno noi.