Eucaristia, pane del cammino,
fonte e culmine della vita cristiana
Cristiani: “… non si nasce, si diventa …”– come ha ben detto Tertulliano (Apologetico 18, 4) – e questo avviene con un progressivo inserimento nel mistero di Cristo e della sua Chiesa.
"Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane" (1 Cor 10, 16-17)  
Non trovo espressione più adeguata per entrare nel merito di questi due versetti dell'Apostolo ai cristiani di Corinto del commento di S. Agostino, il quale scrive: "Se vuoi comprendere il corpo di Cristo, ascolta l'apostolo che dice ai fedeli: Voi però siete il corpo di Cristo, le sue membra (1 Cor 12,27). Se voi, dunque, siete il corpo di Cristo e le sue membra, sulla mensa del Signore viene posto il vostro sacro mistero: il vostro sacro mistero voi ricevete. A ciò che voi siete, voi rispondete Amen e, rispondendo, lo sottoscrivete. Odi infatti: "Il corpo di Cristo" e rispondi: "Amen". Sii veramente corpo di Cristo, perché l'Amen (che pronunci) sia vero!" (Disc. 272).   In questa semplice parola: "amen" è sintetizzata la realtà più preziosa che ogni uomo possiede, la fede. Ogni volta che ci poniamo dinanzi all'eucaristia dovremmo sentire forte il bisogno di rinnovare la fede, che purtroppo percepiamo sempre troppo debole, per entrare con coerenza all'interno di quel mistero che per grazia siamo chiamati a celebrare. La fede è in grado di suscitare in noi quello "stupore eucaristico" (EdE 6), mediante il quale scopriamo che sempre qualcosa di nuovo è posto sotto i nostri occhi.  
L'eucaristia ci consente di essere partecipi di un mistero mediante il quale Cristo continua a vivere realmente in mezzo ai suoi e permane come una presenza viva e perenne nella vita della sua Chiesa. Il mistero dell'altare, infatti, dà la prova che Dio non è un'idea astratta, ma una persona opera e agisce nella storia, in mezzo all'umanità come una presenza unica, insostituibile, anche se ancora una volta, espressa nel linguaggio umano che obbliga a una kenosi perenne di quell'iniziale spogliarsi della gloria di Dio per entrare nel mondo degli uomini. L'eucaristia, da questa prospettiva, è davvero la continuazione e amplificazione del mistero dell'Incarnazione. La trasformazione che lo Spirito Santo compie del pane nel Corpo di Cristo non è altro che il rinnovarsi di quel primo momento con il quale il Figlio di Dio venne concepito nel seno della Vergine per divenire uno di noi. Quanto il pane della vita possa essere di genuino sostegno nella nostra vita lo percepiamo ogni volta che nell'eucaristia poniamo i nostri pensieri, le nostre attese e le nostre difficoltà. Sull'altare c'è davvero la nostra vita; nella quotidianità della celebrazione si condensa il giorno dopo giorno del nostro ministero in una circolarità tale che mentre, da una parte, sappiamo dove porre il nostro lavoro, dall'altra, abbiamo certezza della strada che dobbiamo seguire.  
Nell'eucaristia, la Chiesa ci chiede di rendere grazie al Padre per esprimere in maniera visibile ciò che essa stessa è: segno della presenza del Signore risorto e strumento di comunione tra i fratelli. Solo a questa condizione comprendiamo cosa significa per noi appartenere e presiedere "un'assemblea santa", una "stirpe sacerdotale", "popolo chiamato a rendere il culto al Signore" (cf. 1 Pt 2,9). Nel celebrare l'eucaristia, "fonte e culmine" della vita della Chiesa e quindi dell'opera di evangelizzazione, noi celebriamo il mistero della nostra esistenza di fede. In un periodo come il nostro, carico di una cultura che impone l'acquisizione di ogni cosa solo in forza del desiderio di possedere, l'eucaristia insegna come percepire l'essenziale della vita. Senza la scoperta della gratuità, d'altronde, difficilmente potremmo pensare di raggiungere obiettivi che qualifichino la nostra stessa esistenza umana. Senza la scoperta della gratuità verrebbe meno ogni possibile comprensione dell'amore genuino, che nulla chiede in cambio e si cadrebbe nella sola pretesa dell'egoismo che ci farebbe cadere giorno dopo giorno in un abisso di illusione. La vita cristiana se non ha alla base la gratuità della nostra donazione non può essere realmente efficace e l'unità che siamo chiamati a rendere visibile rischia di essere precaria o, al massimo, riesce a diventare un palliativo emotivo, ma non un segno del Corpo di Cristo.  
Se viviamola nostra vita in maniera eucaristica, allora più facilmente scopriremo che la gratuità del dono trasforma a tal punto da divenire noi stessi un dono. Ricevo Cristo, ma divento nello stesso istante offerta che si dona a lui e ai fratelli. Nutrirsi di Cristo diventa per noi porsi in un cammino irreversibile che mentre ci pone dinanzi a ciò che il Padre vuole per noi e da noi, nello stesso tempo ci consente di sapere che diventiamo noi stessi "corpo" che viene donato. Qui, infatti non siamo dinanzi a un "darsi" generico di Dio, ma è sempre un donarsi "per noi". 
Nutrirsi del corpo e del sangue di Cristo realizza con lui un'unità talmente inscindibile, "un solo corpo", che a noi non è più permesso partecipare a nessun'altra mensa sacra (cfr. vv 19-22), né condividere il nostro corpo con altri (cfr. 1 Cor 6,15-20); ciò significa che la nostra vita, appartiene solo a lui. "Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito… Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte": Paolo non poteva trovare espressione più forte di questa per indicare l'unità basilare che sta a fondamento del nostro essere cristiano. L'essere espropriato di sé per divenire corpo di Cristo è quanto attesta il sacramento dell'eucaristia.  

Il nostro impegno a costruire la comunità giorno dopo giorno è possibile solo se la fondiamo sulla comunione eucaristica. Questa un'unità è già stata data nel mistero pasquale, ma deve essere da noi conservata perché il mondo creda. Questo ci fa dire che verso la celebrazione dell'eucaristia devono convergere tutte le strade della nostra pastorale. Niente come l'eucaristia attesta al mondo che sono superate realmente tutte le barriere e le divisioni: di razza, di popolo, di lingua, di condizione sociale, di costume, di pensiero, di progettazione…  

Diamo, pertanto, spazio all'azione dello Spirito che permette alla Chiesa di celebrare l'eucaristia come promessa di comunione e germe di unità. La preghiera contenuta nell'anafora di Ippolito Romano, unitamente all'esempio dei santi e tanti altri beati e servi di Dio, che hanno fatto dell'eucaristia il centro focale della loro esistenza, possano essere di sostegno per rendere il nostro sacerdozio un'eucaristia viva: "Fa scendere il tuo Santo Spirito sull'offerta della santa Chiesa, e dopo averli riuniti, concedi a tutti i santi che la ricevono di essere ripieni di Spirito Santo per fortificarli nella fede e nella verità, affinché ti lodiamo e glorifichiamo tramite tuo Figlio Gesù Cristo, per mezzo del quale a te viene la gloria e l'onore, Padre e Figlio con lo Spirito Santo nella santa Chiesa ora e nei secoli dei secoli" (Tradizione apostolica, 4).

Mons Pasquale Morelli
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