L'Ora di Gesù. log2


«Senza l’adorazione eucaristica, Dio non incide nella vita»

Papa Benedetto XVI, nell’omelia durante la celebrazione del Corpus Domini, ha messo in guardia i fedeli da quella «interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II» che «aveva ristretto l’Eucaristia al momento celebrativo». È «importante riconoscere la centralità della celebrazione, in cui il Signore convoca il suo popolo», ma «l’accentuazione pur giusta posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione».

Non è un problema teologico, le conseguenze di questa riduzione non sarebbero secondarie. Anzi, «questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali». Dio rimarrebbe presente nella Messa, ma non si farebbe esperienza di lui fori dalle mura delle chiese, perdendo «il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come “Cuore pulsante” della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana».

L’adorazione eucaristica è necessaria per vivere a pieno l’Eucarestia nella Messa perché stare «in silenzio prolungato davanti al Signore presente nel suo Sacramento, è una delle esperienze più autentiche del nostro essere Chiesa, che si accompagna in modo complementare con quella di celebrare l’Eucaristia, ascoltando la Parola di Dio, cantando, accostandosi insieme alla mensa del Pane di vita». Benedetto XVI ha poi spiegato perché «comunione e contemplazione non si possono separare». Si comunica davvero con Gesù come si fa con un’altra persona: «Devo conoscerla, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore.
Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale». Quindi se manca questa dimensione che ritroviamo nell’adorazione Eucaristica, «anche la stessa comunione sacramentale può diventare, da parte nostra, un gesto superficiale. Invece, nella vera comunione, preparata dal colloquio della preghiera e della vita, noi possiamo dire al Signore parole di confidenza».
Il Papa ha voluto chiarire che l’interpretazione«secolaristica degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso», accentuando il fatto pur vero che il «centro del culto ormai non sta più nei riti e nei sacrifici antichi, ma in Cristo stesso», ha portato a pensare «che il sacro non esista più». Ma pensare questo è un errore, perché se è vero che «non basta l’osservanza rituale, ma si richiede la purificazione del cuore e il coinvolgimento della vita», incarnandosi Dio dà all’uomo un’importanza ancora maggiore.
Cristo ha scelto come metodo di comunicazione una forma umana «per comunicarsi, finché siamo in cammino nel tempo. Si serve ancora di segni e di riti che verranno meno solo alla fine, nella Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più alcun tempio». Benedetto XVI ha poi spiegato, ancora con due immagini, i danni che questo pensiero può recare ai fedeli: «Se, per esempio, in nome di una fede secolarizzata e non più bisognosa di segni sacri, venisse abolita questa processione cittadina del Corpus Domini, il profilo spirituale di Roma risulterebbe “appiattito”, e la nostra coscienza personale e comunitaria ne resterebbe indebolita. Oppure pensiamo a una mamma e a un papà che, in nome di una fede desacralizzata, privassero i loro figli di ogni ritualità religiosa: in realtà finirebbero per lasciare campo libero ai tanti surrogati presenti nella società dei consumi, ad altri riti e altri segni, che più facilmente potrebbero diventare idoli. Dio, nostro Padre, non ha fatto così con l’umanità».
Si è abbassato senza paura fino alla sua creatura e così «ha mandato il suo Figlio nel mondo non per abolire, ma per dare il compimento anche al sacro». Nell’ultima cena, infatti, «Egli pose se stesso al posto dei sacrifici antichi, ma lo fece all’interno di un rito, che comandò agli Apostoli di perpetuare, quale segno supremo del vero Sacro, che è Lui stesso. Con questa fede, cari fratelli e sorelle, noi celebriamo oggi e ogni giorno il Mistero eucaristico e lo adoriamo quale centro della nostra vita e cuore del mondo. Amen».
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