RITIRO SPIRITUALE DIOCESANO “DELL’ORA DI GESÙ”

di Mons. Pasquale Morelli Assistente Diocesano

Leporano 19 novembre 2017

Rimanete in me

(Gv. 15, 1-5)

Carissimi amici,

benvenuti per questa esperienza di Preghiera, il ritiro Spirituale è un dono che ci concediamo, un tempo per stare con Gesù in maniera più intima, per lasciarci da Lui Amare, per recuperare le forze che le inevitabili difficoltà della vita familiare e lavorativa comportano. Noi, proprio come i discepoli, abbiamo oggi risposto a Gesù che ci ha detto: “venite andiamo a riposarci un poco”.

Saluto la fondatrice “dell’Ora di Gesù e responsabile interdiocesana, la carissima Antonietta Palantone, i responsabili diocesani Lorenzo e Imma Minelli e delle parrocchie e tutti voi carissimi.

Ho scelto come testo guida un brano del Vangelo di Giovanni, visto che abbiamo scelto come formazione per quest’anno 2018, il capitolo sesto, dove l’Evangelista tratta del tema dell’Eucarestia nel contesto del brano della moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Noi mediteremo su alcuni versetti del capitolo 15, siamo nel contesto dell’Ultima Cena e Gesù ci fa comprendere in maniera chiara e inequivocabile come la nostra unione a Lui non può essere superficiale, epidermica, come, purtroppo, è da molti vissuta, ma è sostanziale. Questo lo fa comprendere attraverso l’immagine semplice ma nello stesso tempo eloquentissima della vite, nella quale si identifica, e i tralci che siamo noi, che solo se legati a Lui possiamo portare frutto buono altrimenti non possiamo fare “nulla”. Sconcertano queste parole di Gesù che senza mezzi termini dice che senza di Lui, non possiamo fare nulla. Non dice che non possiamo fare questa o quella cosa della vita, ma sottolinea il nulla. Comprendiamo, dunque, quando sia importante per noi lo stare uniti a Gesù nella Messa domenicale e nell’ora di adorazione del Lunedì sera, dove ci aspetta per rafforzare il nostro legame in Lui, per far scorrere in maniera ancor più abbondante la linfa della Vita Divina in noi perché portiamo frutti secondo lo Spirito e diventiamo sempre di più espressione dell’Amore Trinitario.

Ora possiamo approcciarci al testo Sacro con lo stesso amore della Madre di Dio e nostra, della quale si dice, in Luca, che serbava tutto nel Suo Cuore meditandolo.

Testo

1. “Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore”.

2. “Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”.

3. “Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato”.

4. “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vita, così neanche voi se non rimanete in me”.

5. “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto perché senza di me non potete far nulla”.

Contesto

I capitoli 15-16 sono una variazione sul tema dei capitoli 13-14. Giovanni, il cui simbolo è l’aquila, volteggia sullo stesso luogo, con cerchi sempre più elevati. Non si tratta di un “doppione”, ma di una “ripetizione”, che è il fondamento della “contemplazione”.

Il capitolo in questione fa parte dei Discorsi di addio. Sono le ultime parole del Maestro, quelle essenziali, fondamentali; sono il suo testamento.

Con queste parole Gesù ci aiuta a comprendere dove risiede la “forza interiore” della nostra fede. La totale dipendenza del cristiano da Gesù, che è la costante del pensiero giovanneo, non è espressa in alcun altro luogo più eloquente di qui.

Il rimanere in Gesù

Il verbo “rimanere” (mènein) è molto caro al IV Vangelo, è un termine specifico e tecnico di Giovanni, il quale lo usa 40 volte nel suo Vangelo e 23 nella sua prima Lettera. Tale verbo richiama relazioni, affetti, amore; descrive la dinamica della fede dei discepoli. Non è una semplice premessa, per poi fare altro, è invece l’inizio e la piena maturazione della conoscenza e della vita cristiana.

Motivi per rimanere

Ma perché Gesù invita i suoi discepoli a rimanere in Lui?

Sono tre i motivi:

Per divenire suoi discepoli,

Per portare frutti di salvezza,

Per glorificare il Padre.

Il rimanere è la condizione che identifica i discepoli di Gesù. Il cristianesimo non è né attivismo, cosa da fare, né moralismo, cose da evitare, né gnosticismo, cose da sapere, ma è rimanere.

Rimanere in Cristo significa rimanere nel suo amore; permettergli d’amarci, evitando di porre tra lui e noi la barriera dell’autosufficienza.

Questo verbo è il più categorico per quanto riguarda la nostra assoluta dipendenza dalla grazia per operare qualsiasi atto meritorio dal punto di vista soprannaturale. Già nel II Concilio Milevitano (416) e nel XVI Cartaginese (418), fu sottolineata quest’affermazione di Gesù, evidenziando il fatto che Egli non ha detto che è difficile fare qualcosa senza il suo concorso, ma che è impossibile fare qualsiasi cosa: «Senza di me, nulla potete fare». Senza il Signore noi non siamo nessuno. Senza di lui non possiamo fare niente.

S. Gregorio di Nazianzo ci ricorda che «ciò che è unito a Dio è salvato». Rimanere in Cristo significa essere salvati.

La condizione per rimanere

Il rimanere uniti a Cristo non è questione di fare, ma di essere. Essere con Gesù, essere come Gesù, essere per Gesù.

Essere con Gesù: fare ogni cosa guidati da lui, pensando che lui è accanto a noi.

Essere come Gesù: il rimanere con Gesù implica vivere come Gesù: «Chi dice di dimorare in Lui, deve comportarsi come Lui si è comportato» (1 Gv 2,6). È necessario agire, pensare come lui. Come agirebbe Gesù io debbo agire. Ogni nostra azione dovrebbe essere azione di Cristo.

Essere per Gesù: ogni mia azione deve portare a Cristo, deve essere orientata a lui. Il cristiano non agisce per se stesso, ma per Cristo, per la sua gloria. Una volta chiarito che rimanere uniti a Cristo è questione di essere, tale essere si concretizza in alcuni atteggiamenti, che sono consequenziali all’essere: “agitur seguitur esse”.

L’azione, il portare frutto, scaturisce dal rimanere con Gesù, dallo stare con lui, dalla contemplazione; più si resta con Gesù più si può operare. Chi non è capace di rimanere con Gesù, di vivere una vita profondamente contemplativa, non può dedicasi all’apostolato; altrimenti farebbe danno (cfr Lallemant).

Come rimanere in Gesù?

Si rimane con Gesù in due modi: mediante la fede e mediante la carità.

Rimanere mediante la fede

Si rimane in contatto con Gesù attraverso la fede: la preghiera, la Parola di Dio, i Sacramenti. La preghiera è un continuo stare con Cristo; pregare è non perdere di vista Gesù mai; è rimanere uniti a lui sempre, anche quando stiamo compiendo delle attività, ecco perché Gesù esorta «vegliate e pregate in ogni momento» (Lc 21, 36), e S. Paolo può consigliare: “Pregate incessantemente” (1Ts 5, 17). L’ascolto e la meditazione della Parola di Dio sono necessari per rimanere in Cristo; Egli stesso lo ha detto: «Se rimanete nella mia parola sarete veramente miei discepoli» (Gv 8, 31).

I sacramenti sono fondamentali per rimanere con Gesù.

Ci sono dei sacramenti che ci innestano in Cristo, vedi il Battesimo e la Confermazione, e ce ne sono altri che ci fanno continuare a rimanere innestati in Lui, vedi la Confessione e l’Eucaristia.

L’Eucaristia

A proposito dell’Eucaristia è importante fare una osservazione importantissima. Le parole di Gesù sono inserite in un contesto eucaristico, siamo nell’ultima Cena. In più la vite ci richiama il vino, quindi è simbolo del calice, e quindi dell’unione eucaristica.

A tal proposito è interessante paragonare 15, 1-17 con il brano eucaristico di 6, 51-58.

«Io sono il pane vivo» di 6, 51 e «Io sono la vera vite» di 15, 1 formano un dittico giovanneo.

«Chi rimane in me e io in lui» (15, 5) echeggia «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (6, 56).

La vita arriva ai tralci attraverso la vite e in 6,57 troviamo «Colui che mangia di me vivrà per me».

In 15, 13 Gesù parla del dare la propria vita per i propri amici e in 6, 51 egli dice «Il pane che io darò è la carne per la vita del mondo». Questo significa che coloro che si cibano del pane di Cristo rimangono in lui, perché diventano a loro volta pane spezzato per i fratelli, attraverso l’amore e il servizio, che Gesù ci ha mostrato con l’esempio della lavanda dei piedi.

Questo è il frutto di cui parla Gesù. È questo apre all’altro modo importante per rimanere con Gesù: la carità.

Rimanere mediante la carità

Leonzio e Cirillo osservano: «Gesù comanda di rimanere in Lui, non solo con la fede, ma principalmente con la carità, poiché con la fede sono molti quelli che rimangono in Lui senza tuttavia dare frutto alcuno». L’unione con Gesù non deve essere solo affettiva, ma anche effettiva.

Gesù in questo suo discorso pronuncia una frase che può sembrare strana: «Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia». Come si può essere in lui e non portare frutto? Purtroppo possiamo essere discepoli di Gesù solo a parole, senza vivere la sua parola. Possiamo, per esempio, condurre una vita pseudo spirituale, tutta intenta ai nostri gusti, senza amare né Dio né l’uomo. Allora siamo come i succhioni della vite, che succhiano linfa senza produrre frutto. Alle volte vediamo nella vite molti tralci secchi, morti, infruttiferi, perché non attingono alla linfa della radice. Si va a Messa, ci si confessa, si prega, ma non si porta frutto. Questi sono coloro che aderiscono a Cristo soltanto con la fede. Non è sufficiente accettare Gesù come persona; bisogna accettare anche il suo messaggio, la sua Parola ciò che ha detto, senza sconti. Chi accetta Gesù senza la sua parola sono tralci, che rimangono nella vite, ma sono morti e secchi, perché non assorbono il liquido della grazia di Cristo.

Per rimanere con Cristo è indispensabile mettere in pratica i Comandamenti. Egli stesso lo ha detto nel Vangelo. «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore». S. Agostino ancora ci esorta: «Le sue parole rimangono in noi, quando facciamo ciò che egli ci ha ordinato e desideriamo ciò che ci ha promesso». Il rimanere in Gesù non è un mero sentimentalismo, ma è fatto di concretezza. Il rimanere non è sterile, si riconosce dal fatto che porta frutti, cioè dal cambiamento che lo stesso rimanere gratuitamente provoca.

L’unione con Gesù non è solo abbandono estatico o spiritualità intimistica, ma vita concreta spesa nell’amore per i fratelli. Rimanere in Cristo vuol dire rimanere nell’amore che unisce Padre e Figlio, e ciò ha come conseguenza accogliere, imitare e prolungare questo amore trinitario. Chi ama rimane in Cristo, chi non ama non rimane in Cristo. Nel dualismo giovanneo non c’è molto spazio per uno stadio intermedio: ci sono tralci vivi e tralci morti. S. Agostino sinterizza: «Aut vitis, aut ignis».

Ed è questo il modo autentico per glorificare il Padre. Dio si glorifica solo se si porta il frutto della carità, ma la carità è possibile solo se si rimane unito a Cristo.

Mistica di fede e mistica di carità sono inseparabili.

Conseguenza del rimanere

Gesù dice che il tralcio che rimane viene potato perché porti più frutto (v. 2). Quindi il rimanere uniti a Cristo ha come conseguenza l’essere potati.

Gesù fa una differenza enorme tra l’essere tagliati e l’essere potati. Ogni tralcio che non porta frutto, viene tagliato, e ogni tralcio che porta frutto, viene potato perché porti più frutto.

Il tagliare recide per la morte; mentre il potare recide la vita. E il Padre vuole che ci porta frutto, cioè chi rimane in Cristo, sia potato.

La potatura avviene per due motivi.

Il primo motivo è per recidere i germogli superflui e parassitari. Più si toglie, più frutto si produce. “Tu fammi povero che io ti faccio ricco” (modo di dire tra gli agricoltori).

Per rimanere uniti a Cristo dobbiamo veramente operare una seria potatura. Le vere potature si realizzano quando siamo capaci di liberarci di tutte le incrostazioni della nostra vita. «Togli, Signore, la mia povertà e dammi la tua ricchezza» (S. Teresa d’Avila). Nella nostra vita, come anche nella comunità, è necessaria questa potatura. Si rimane in Cristo per diventare come lui, ecco perché per rimanere in Gesù è necessario sradicare i bubboni (peccati e vizi), tagliare i rami inutili (atteggiamenti caratteriali che possono essere offensivi), eliminare le foglie ingombranti (il troppo non è mai sinonimo di buono; la quantità a volte è a discapito della qualità). Un albero non è buono perché ha i frutti, bisogna vedere che tipo di frutti sono. Ci sono alberi che se non vengono potati portano frutti amari e disgustosi: male con parvenza di bene. Un albero non è buono perché ha tanti frutti, il troppo può danneggiare l’albero. I troppi frutti possono rompere i rami. Ognuno esami se stesso per vedere quale potatura ha bisogno, quali germogli superflui deve recidere.

Il secondo motivo per potare è drizzare la pianta affinché cresca dritta e robusta. Anche nella nostra vita c’è bisogno di farci drizzare, perché spesse volte pensiamo di stare crescendo nella fede, ma stiamo crescendo in modo storto. Un albero che porta frutti ma non è dritto, è un grande ostacolo. Facciamoci potare per farci drizzare. Cresciamo nella fede come Dio vuole e non come noi pensiamo sia giusto.

Interroghiamoci in cosa ho bisogno io personalmente di essere potato.

La perseveranza

Dal verbo “menein” deriva “hypo-menè”, restare sotto, resistere, perseverare; questo è un rimanere sotto di lui, anche e soprattutto quando non si comprende tutto; un non arrendersi, ma sostenere il peso delle difficoltà.

Il discepolato non si può vivere solamente in un clima di entusiasmo momentaneo e passeggero, ma in un assiduo, costante e giornaliero rimanere.

La vera prova del discepolo è la prova del tempo, cioè la capacità di perseverare, di rimanere con e sotto Cristo, fedeli a Lui nonostante tutto. Non per niente Gesù stesso ci ha ricordato che con la nostra perseveranza salveremo le nostre anime.

Il rimanere, il perseverare è il segreto della vita cristiana.

Conclusione

Senza Gesù noi non possiamo fare niente, non perché siamo incapaci per mancanza di volontà e di intelligenza, ma perché la nostra volontà ha bisogno di essere rafforzata e la nostra intelligenza ha bisogno di essere illuminata continuamente. E questo non può essere opera nostra, ma è solo opera di Cristo. Da lui attingiamo la linfa, che è lo Spirito Santo che Gesù comunica ai suoi tralci; è lo Spirito Santo che ci dà vita.

Chiediamo continuamente la luce allo Spirito Santo, perché ci aiuti a rimanere uniti a Cristo, per essere veri discepoli e portare frutto, per glorificare il Padre, che è nei cieli.

Mons. Pasquale Morelli